A ciascuno il suo: disagio economico e ruolo dello Stato

Contributo economico

Money by Musavvir Ahmed from The Noun Project

Lo ammetto, è il mio più grande cruccio, la questione che più mi tormenta e non mi lascia tregua: i contributi economici. Per un assistente sociale comunale, sono una bella gatta da pelare! Qui non entrerò nel merito delle difficoltà a valutare chi, come e per quanto tempo deve beneficiare di un aiuto economico, né sui rischi di creare assistenzialismo o sulla fatica di essere equi con situazioni diverse.

Qui voglio provare a inquadrare il problema in modo più ampio, togliendo lo zoom dal mio piccolo ufficetto comunale e allargando la prospettiva fino a includere le “stanze del potere” regionale e, ancor di più, statale.

Perché ognuno si deve prendere le proprie responsabilità: io, assistente sociale, faccio volentieri la fatica di accompagnare le persone verso tentativi di autonomia, sostenendole nel ripensare alle proprie scelte di vita e alle proprie strategie di fronteggiamento delle difficoltà. Lo faccio io, è il mio lavoro.

Però, tu Stato (e tu Regione) devi darti una mossa per creare uno straccio di protezione sociale per gli indigenti! Non può ricadere tutto sulle spalle dei Comuni.

Non possiamo permettere che siano i Comuni a stanziare a bilancio le risorse per sostenere i poveri. Innanzitutto perché non ricevono dalla Regione e dallo Stato dei finanziamenti espressamente destinati a questo, e quindi sta al loro buon cuore decidere se stanziare o meno.

E poi perché, in mancanza di livelli essenziali di assistenza decisi a livello centrale, ognuno stabilisce una cifra diversa, creando notevoli disuguaglianze tra i territori. Due Comuni dello stesso Ambito territoriale e con lo stesso numero di abitanti possono stanziare uno 10.000€ e l’altro 50.000€ a bilancio senza che sia un problema per nessuno.

Non possiamo neanche permettere che siano gli assistenti sociali a trattare, caso per caso, tutti i soggetti bisognosi di assistenza economica. L’esperienza mi dice che è come svuotare il mare col cucchiaio; lavorando, ho sempre avuto l’impressione è di non aver mai abbastanza tempo e che gli utenti fossero sempre “troppi”. Parlando con le colleghe e i colleghi ho notato che questo è un vissuto diffuso e non credo che sia solo voglia di lamentarsi.

Proviamo a vedere se c’è un qualche riscontro numerico.

Calcolatrice per calcorare quanti assistenti sociali Lombardia per abitante

Calculator by Nicolò Bertoncin from The Noun Project

In Lombardia ci sono 5.000 assistenti sociali (5.038 per l’esattezza). Una ricerca recente ci dice che, a livello nazionale, quasi la metà lavora nei Comuni e nei consorzi di Comuni (Facchini, 2010, pag. 161): immaginiamoci che anche in Lombardia sia così, e siamo a 2.500 operatori impiegati in Comune. A questi bisognerebbe togliere chi si occupa esclusivamente di Tutela Minori o di aree di utenza dove il disagio economico non è il problema principale… ma per questo non ci sono dati che ci sostengono. Quanti ne resteranno? Non si sa. Ma occorre dire che, dei rimanenti, anche immaginando che lavorino a tempo pieno, le attività di sportello e di presa in carico non coprono il 100% dell’attività lavorativa, perché ci sono anche le ore di riunione, di aggiornamento, di back office… Difficile quantificare quante ore/uomo restano.

Sul fronte della “domanda” di assistenza, sappiamo che in Lombardia risiedono quasi 10 milioni di persone (9.794.525 a fine 2012).

Vogliamo dividere questo numero per 2.500? Fanno 4.000 abitanti per assistente sociale. Ma, come dicevamo prima, se andiamo a vedere chi si occupa effettivamente di disagio economico – e per quante ore – i risultati potrebbero decisamente peggiorare. Vogliamo immaginare che, in tutta la Lombardia, almeno 500 colleghi comunali si occupano solo di Tutela? e che altrettanti si occupano solo di persone anziane o con disabilità? e che un centinaio non svolge lavoro con l’utenza?

Ne restano 1.400 potenzialmente dedicati “solo” al disagio economico (si fa per dire). Quindi, a ciascuno di questi fortunati operatori compete un bacino di popolazione di circa 7.000 persone. Beninteso, è un’ipotesi, non un dato frutto di una ricerca. Ma comunque mi induce a pensare: “mmm… difficile lavorare bene in queste condizioni!” Non trovi?

Allora siamo destinate alla lamentela perenne, al senso di frustrazione e… al burnout?!? Non voglio pensarlo. Voglio anche guardarmi dallo scivolare in atteggiamenti difensivi che mi indurrebbero ad aumentare la “distanza affettiva” con il cittadino bisognoso, per non sentire il peso della mia piccolezza rispetto alla mole di lavoro da affrontare. Pensarli come una massa indistinta di opportunisti, furbastri pronti a ingannarmi, professionisti dell’assistenzialismo, non mi sembra particolarmente in linea con la deontologia della mia professione.

proposta-riforma-politiche-interventi-socio-assistenzialiMentre sono alla ricerca di orientamenti teorici e di tecniche per gestire al meglio la mia operatività, voglio chiedere a gran voce che il livello politico si faccia carico della sua parte. Per esempio considerando con attenzione la proposta di riforma delle politiche socio-assistenziali avanzata da un’équipe di ricercatori e promossa da Prospettive sociali e sanitarie.

Una proposta di riforma che prevede:

  • l’introduzione di un Reddito minimo di inserimento per i poveri, con un ruolo importante di accesso e presa in carico da parte dei Comuni. Per superare l’attuale frammentazione e disorganicità delle misure di sostegno al reddito.
  • sostituzione delle attuali misure di sostegno ai carichi familiari con un Assegno per i minori
  • sostituzione delle attuali misure di sostegno alla non autosufficienza con una Dote di cura

In questo modo, molte situazioni di povertà causate dal solo fatto di avere tanti figli o un familiare non autosufficiente troverebbero risposta. E le altre situazioni di difficoltà economica sarebbero trattate in modo omogeneo e universale, e l’intervento professionale si concentrerebbe nella fase di accompagnamento della persona beneficiaria dell’intervento (quindi riducendo moltissimo l’attività di indagine pre-contributo). Certo, occorre approfondire molti aspetti, in primis il peso dell’economia sommersa e gli effetti distorsivi del “nero” nell’individuazione delle famiglia realmente bisognose.

Ma intanto, perché non chiediamo all’Ordine di spingere il Governo a prendere in considerazione questa proposta?

Lo chiediamo per noi assistenti sociali, per preservare la nostra professionalità e poterla utilizzare al meglio.

Lo chiediamo per i cittadini in situazione di bisogno, perché aiutarli significa anche chiedere per loro un welfare migliore.

Cosa ne pensi? pensi che sarebbe utile organizzarci in questo senso?

1 thoughts on “A ciascuno il suo: disagio economico e ruolo dello Stato

  1. L’ha ribloggato su POLITICHE SOCIALI e SERVIZIe ha commentato:
    la questione che più mi tormenta e non mi lascia tregua: i contributi economici. Per un assistente sociale comunale, sono una bella gatta da pelare! Qui non entrerò nel merito delle difficoltà a valutare chi, come e per quanto tempo deve beneficiare di un aiuto economico, né sui rischi di creare assistenzialismo o sulla fatica di essere equi con situazioni diverse. … SEGUE QUI

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