Mi son sempre chiesta quanto fosse utile appuntarsi tutto quello che si fa in modo più o meno ordinato, o quanto invece riempirsi di appunti e verbali sia una perdita di tempo.
La risposta non è univoca e dipende dal perché lo si fa.
Se è vissuta come una mera formalità, allora scrivere il resoconto di una riunione o i contenuti di un colloquio diventa una cosa in più da fare, un adempimento fine a se stesso. Se è invece un’occasione per tener traccia delle decisioni prese, un elemento fondamentale per poter essere sostituite per assenza o passaggio di caso ma, soprattutto, un momento in cui fermarsi a riflettere sulla propria operatività, allora è tutta un’altra cosa.
Come avrete capito, io mi identifico con questo secondo approccio. Di più: io penso che utilizzare un’adeguata documentazione professionale sia l’occasione per strutturare il mio lavoro, in modo che le mie giornate non siano un susseguirsi ininterrotto di attività ma una sequenza di azioni sulle quali poi mi prendo la briga di fare due ragionamenti a freddo. Tante volte mi è capitato di capire bene una situazione solo nel momento in cui mi accingevo a raccontarla attraverso la stesura della relazione sociale, o di riuscire a dare ordine alle mille cose dette in équipe nel momento in cui stendevo il verbale. E’ come se, dovendo dare ai miei pensieri una forma intellegibile agli altri, li rendessi più chiari anche a me stessa.
Quando parlo di documentazione non intendo necessariamente quella cartacea. Spero che sempre più ambiti territoriali stiano traducendo in pratica le indicazioni della 328/00 che prevedevano l’istituzione di un sistema informativo dei servizi sociali. E, anche chi non ne sta ancora facendo uso, può tranquillamente utilizzare file elettronici da archiviare in cartelle non necessariamente cartacee.
Comunque, quale che sia il supporto che preferite utilizzare, vorrei condividere con voi i modelli di documentazione che mi sono costruita nel tempo per gestire la presa in carico.
Incominciamo con il documento principe della mia cartella sociale: il Diario degli interventi. In questo semplicissimo foglio annoto, in ordine cronologico progressivo, tutti gli interventi fatti dal momento della presa in carico in poi.
In teoria potrei annotare tutto qua, tuttavia mi viene comodo utilizzare una documentazione specifica per alcuni momenti particolari, come alcuni colloqui particolarmente significativi (Registrazione colloquio), alcune telefonate (Registrazione telefonata), i momenti di incontro con gli altri servizi che seguono lo stesso utente (Verbale incontro) e i momenti di equipe o staff che ho all’interno del mio Comune (Equipe/staff).
Questi documenti non sono su carta intestata perché non serve, essendo strumenti di lavoro backoffice. Sono invece documenti ufficiali la Relazione sociale e l’Accordo che generalmente sottoscrivo con l’utente.
Come vedete il mio schema di relazione è molto semplice. In alto riporto sinteticamente tutte le informazioni relative al cittadino che ha ufficialmente presentato domanda e del suo nucleo familiare, evitando così che chi leggerà quello che ho scritto debba andare a recuperarsi i dati qua e là nelle righe che seguono (per “ruolo” intendo il rapporto di parentela con l’intestatario: marito, figlio, ecc.).
Quindi, utilizzo una prima parte per spiegare la situazione. E qui ci vanno un sacco di cose. A seconda della situazione, dello scopo della relazione e del fatto che sia o meno la prima che scrivo per quell’utente o famiglia, gli elementi che riporto sono: situazione familiare attuale e pregressa, situazione lavorativa attuale e pregressa, situazione assistenziale attuale e pregressa (per ricostruirla, spesso faccio uno schemino degli Interventi attuati), rete sociale (familiare e amicale), situazione alloggiativa, situazione economica, eventuale storia e progetto migratorio.
Dedico quindi un paragrafo a sé agli aspetti economici, riportando in sintesi il quadro delle entrate/uscite e l’ISEE più recente (con indicazione dell’anno cui si riferiscono i redditi). Anche in questo caso, lo faccio per rendere più semplice recuperare quei dati che, sebbene non siano necessariamente i più significativi, sono però conditio sine qua non per accedere a tutta una serie di benefici economici.
Nell’ultima parte esprimo la mia valutazione sulla capacità di attivazione della persona (o della famiglia) e sulle possibilità evolutive della sua situazione. Cerco quindi di evidenziare il senso dell’intervento proposto in relazione alle risorse della persona e del contesto in cui è inserita.
Per quanto riguarda l’accordo tra utente e Servizio sociale, è sostanzialmente quello che in letteratura viene nominato “contratto”. Io preferisco il primo termine perché mi sembra che rimandi maggiormente alle dimensioni di volontarietà e di reciprocità, pur contenendo la necessaria dimensione della lealtà al rispetto dei patti.
L’accordo comincia con una condivisione della situazione di partenza. Può sembrare superfluo, ma ho sperimentato che è meglio non dare niente per scontato ed è meglio intendersi bene rispetto alla definizione dello status quo, perché spesso questo è territorio di ambiguità, fraintendimenti e, poi, fallimenti.
Quindi, vengono specificati gli obiettivi, le modalità, gli impegni reciproci e i tempi. Mettere tutto nero su bianco diventa l’occasione per co-costruire il progetto di intervento e assicurarsi che ci sia assonanza tra tutti i soggetti coinvolti.
Cosa ne dite? usate anche voi qualcosa di simile? avete qualche idea da dare? immagino di sì…