ReI: istruzioni per non fallire

IMG_3202.JPGIl prof. Gori l’ha detto bene: attenzione a non avere aspettative troppo alte e di breve periodo per il ReI, altrimenti il fallimento è dietro l’angolo. Al contrario, dobbiamo essere consapevoli che si tratta di un meccanismo complesso che ha bisogno di tempo per essere implementato con efficacia. Se vi sto parlando ancora del Reddito di Inserimento è perché al convegno del 13 febbraio sono uscite cose interessanti, soprattutto da quello che può essere considerato il padre della misura: Cristiano Gori.

Professore all’Università di Trento e ideatore di “Alleanza contro la povertà”, Gori ha lavorato per anni per unire tutti i soggetti del terzo settore che si occupavano di povertà e per farli convergere su una proposta concreta: il Reddito di Inclusione sociale (www.redditoinclusione.it). Ed è stato grazie a questo duplice fattore – essere uniti e avere una proposta concreta – che l’Alleanza è riuscita a fare pressione sul parlamento e a far approvare anche in Italia quella misura di “minimo vitale” che attendevamo dalla Commissione Onofri (correva l’anno 1997). Ma di come è nato il ReI ne ho già parlato in questo post.

L’aspetto che volevo sottolineare adesso è invece più psicologico, ed è il rischio di pensare che le rivoluzioni si fanno dalla sera alla mattina e quindi di scoraggiarsi se ciò non avviene. Gori diceva che il percorso è: entusiasmo > sconforto > fallimento.

Non so quanti colleghi abbiano salutato con entusiasmo l’introduzione del ReI (e prima ancora del SIA). Io personalmente sì, perché erano anni che toccavo con mano questa esigenza. Ma creare una misura di sostegno al reddito è una questione complessa: anche la legge migliore del mondo ha bisogno di tempo per essere capita, attuata, corretta.
Si è detto che i territori non erano pronti, andavano preparati meglio: Gori ci dice che è vero, ma la politica è così… non esiste che un Governo finanzi una misura che avrà la luce nella legislatura successiva.

Certo poi in prima linea ci siamo noi, e tutto questa incertezza su come attuare la misura scoraggia tante colleghe desiderose di fare bene il proprio lavoro. Ma forse dobbiamo abbassare le aspettative.
“Nel breve periodo si farà poco”: se lo dice Gori possiamo sentirci assolte. Non è questione di impegno individuale, è che la macchina ha bisogno di tempo per rodare. Ci sono i dubbi interpretativi da sciogliere, i bachi informativi da sistemare, le equipe da formare, le nuove prassi di lavoro da costruire, il territorio da sensibilizzare, i cittadini da informare… e tanto, tanto altro ancora da fare.
Il SIA è diventato legge un anno e mezzo fa e ancora oggi ci sono territori che non hanno insediato l’equipe multiprofessionale! Il ReI avrà bisogno di un bel paio d’anni per cominciare ad essere uno strumento di uso corrente.

E se è vero che “la legge crea le condizioni, ma il resto lo fanno i territori”, possiamo salutare con gioia un’importante novità: l’Alleanza contro la povertà ha chiesto a un gruppo di ricercatori di valutare come stava avvenendo l’attuazione del SIA nei territori al fine di fornire indicazioni utili all’attuazione del ReI (Rapporto di valutazione: dal SIA al REI). Non so se mi spiego: ci stiamo dicendo che in Italia qualcuno valuta come stanno andando le cose e in base a questo fa delle scelte per il futuro… Io quando l’ho saputo mi sono commossa… 🙂

Ecco, se davvero saremo in grado di valorizzare le esperienze locali, facendo circolare le buone pratiche, ma anche individuando le prassi che invece si rivelano inefficaci, allora forse riusciremo a costruire dei buoni percorsi di attuazione della misura. Dandoci il tempo di procedere per tentativi ed errori, e mettendo in conto che non si potrà fare tutto bene dall’inizio.

Ma “fatto è meglio che perfetto”. O no?

 

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