L’altro giorno in Provincia di Bergamo ho avuto la fortuna di partecipare ad una giornata di studio sul tema della cartella sociale: oltre ad essere stata una bella occasione per rivedere tante colleghe, ho potuto ascoltare relazioni molto interessanti.
Voglio parlarvi dell’intervento di Chiara Caprini, assistente sociale responsabile del servizio ospedaliero del Fatebenefratelli di Roma, docente di Programmazione e gestione delle politiche e dei servizi sociali all’Università LUMSA, già consigliera dell’Ordine degli assistenti sociali della Regione Lazio.
Sapete che sul tema ho già scritto (Come fare una cartella sociale, Riservatezza, privacy e trasparenza).
L’intervento di Caprini però mi ha dato ulteriori spunti… non è stata una relazione scolastica ma un intervento per “pennellate” e macchie di colore. Delle quali provo a rendere conto nelle righe che seguono*.
Il paradosso. Nonostante la cartella sociale sia la struttura portante del nostro lavoro quotidiano e uno strumento di identità professionale, la nostra comunità professionale non ha ancora definito uno standard riconosciuto. Questa è un’emergenza. Perché significa che non abbiamo una stessa definizione di presa in carico, per cui usiamo lo stesso termine per intendere cose anche molto diverse.
Occorre capire come fare le cartelle sociali, quando aprirle e quando chiuderle. Curare la chiusura delle cartelle significa curare le cartelle stesse, portare a termine il lavoro senza avere pendenze o casi aperti che in realtà aperti non sono più. Solo in questo modo sapremo quantificare le prese in carico e i carichi di lavoro.
Se vogliamo un maggiore riconoscimento sociale dobbiamo fare la nostra parte e avere in mente che siamo noi gli artefici della nostra crescita professionale, e che se vogliamo crescere lo dobbiamo fare a nostre spese (anche in termini di tempo, non solo di soldi, aggiungo io!).
Forma e contenuto. Nella cartella sociale forma e contenuto hanno pari importanza.
La forma (la carta intestata, il timbro…) ricorda il contesto organizzativo in cui lavoriamo e i conseguenti doveri a cui siamo sottoposti. In comune, la cartella sociale ha lo stesso valore della cartella sanitaria ospedaliera.
Quali documenti tenere? Dei documenti prodotti da altri (relazioni di altri servizi, verbali di invalidità civile…) sempre le copie, mai gli originali; dei documenti prodotti dal servizio stesso, invece, sempre gli originali.
Come scrivere? In modo oggettivo, quindi evitando sia di soggettivizzare che di essere anonimi.
Il contenuto richiede professionalità. L’assistente sociale è un professionista che sa scegliere che cosa scrivere in cartella: sa che non può metterci tutto ma solo il necessario e sufficiente, sa che deve tenere a parte un quaderno/diario personale in cui annotare i propri pensieri e tutto ciò che non deve essere riportato.
Tra le cose da mettere in cartella sociale, un ruolo fondamentale è costituito dalla valutazione del caso.
Nell’intervento successivo, l’avvocato Massimiliano Gioncada ha sottolineato l’importanza di scrivere il necessario: infatti, se è vero che non bisogna scrivere cose inutili o inappropriate, bisogna però aver cura di scrivere tutto quello che dimostra la nostra attività professionale, gli interventi svolti e le proposte progettuali. Altrimenti, in caso di controversia legale saremo giudicati innanzitutto negligenti e, in secondo luogo, toccherà a noi l’onere di provare che abbiamo svolto correttamente il nostro lavoro – cosa che sarà difficile da provare in mancanza di una documentazione adeguata…
Questo mi fa riflettere sul fatto che dobbiamo sempre mettere per iscritto le nostre proposte di intervento, non autocensurandoci per andare incontro alle necessità del nostro ente -ad esempio la mancanza di soldi- ma lasciando a chi di dovere la responsabilità di un eventuale diniego (ne avevo scritto anche in L’assistente sociale comunale: strategie professionali per sostenere un ruolo complesso > vedi strategia 6).
Valutazione. La valutazione è il cuore della cartella sociale ed è imprescindibile. E’ la parte in cui l’assistente sociale si assume la propria responsabilità di professionista e si sbilancia nel fornire una propria lettura dei dati. Se non lo fa, e si limita ad indicare i dati senza interpretarli, significa che lascia ad altri la scelta.
Ma se la valutazione è un’assunzione di responsabilità, occorre che questa responsabilità sia ben identificabile anche (e soprattutto) se si lavora in equipe pluridisciplinari. Attenzione quindi alle relazioni a doppia firma, perché così non si distinguono le responsabilità.
Quando poi esprimiamo un’ipotesi di intervento, dobbiamo sempre avere in mente di non limitarci ad erogare prestazioni (a “dare”), bensì di inserire queste all’interno di progettualità più ampie orientate a favorire l’inclusione sociale e a contenere i problemi.
Per migliorare. Proviamo a rivedere le nostre cartelle sociali in modo critico.
Innanzitutto facendoci aiutare dalla SWOT analisys.
Strenghts (punti di forza) | Weakness (punti deboli) |
Opportunities (opportunità) | Threats (rischi) |
In secondo luogo, ragionando su come dividiamo il tempo tra interventi frontali (front office) e non (back office). Perché se faccio un colloquio devo prendermi anche il tempo di verbalizzarlo.
Per concludere. Anzi, per rilanciare! Chiara Caprini ci ha parlato del modello di cartella sociale che ha sviluppato all’interno del suo servizio e di come questo sia stato il frutto del confronto con le colleghe. Questo mi ha fatto riflettere sull’impatto che ha la dimensione organizzativa rispetto alla qualità del lavoro svolto dai singoli professionisti. Quanto conta avere un’équipe con cui confrontarsi? Qual è il valore aggiunto di avere colleghi con cui progettare strumenti operativi? Che importanza ha avuto il fatto di essere inserita in un servizio socio-sanitario, quindi a contatto con altre culture professionali (soprattutto sanitarie) e altri strumenti di lavoro (vedi cartella sanitaria)?
Queste e altre domande mi si affacciano alla mente… per fortuna non sono da sola a cercare le risposte! Il gruppo provinciale per la formazione continua di Bergamo ha infatti pensato di far continuare la riflessione all’interno di successivi laboratori professionali. Lì avremo l’occasione di rielaborare quanto ascoltato e di trovare il modo per tradurlo davvero in buone pratiche da usare quotidianamente.
L’ambizione è quella di definire uno standard di cartella sociale per andare a scalfire quel paradosso da cui siamo partiti. Un obiettivo molto alto, ma perché non provarci?
Ovviamente sarebbe interessantissimo raccogliere contributi anche dalla rete… quindi commentate, gente, commentate! Bastano due righe nello spazio qua sotto 😉
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* Ovviamente la responsabilità di quanto riporterò di seguito è solo mia.
L’ha ribloggato su MAPPE nelle POLITICHE SOCIALI e nei SERVIZI.
Buongiorno sono una studentessa del corso di scienze del servizio sociale,ho trovato i suoi articoli sulla cartella sociale e sulla relazione sociale una fonte di ricchezza e una grande rivelazione perchè sono esposte in maniera chiara e sono una fonte di spunto. Per questo la ringrazio e sono portata a saperne di più
Sono proprio contenta che tu abbia trovato utili i miei post. Buono studio, futura collega!
Buongiorno, lavoro da poco in una casa di riposo e trovo i suoi articoli interessati, vorrei lanciare uno spunto di riflessione,( premetto di essere al mio primo incarico autonomo ) come gestire un primo inserimento di anziano con demenza ? E come destreggiarsi tra ile aspettative dei famigliari e i bisogni dell’ anziano?
Grazie molte per il rimando!
Le domande che mi pone aprono questioni molto ampie… le consiglio di approfondirle leggendo qualche testo specialistico (es. Il lavoro con gli anziani in casa di riposo di Luca Fazzi o De-mente? no! Sente-mente di Letizia Espanoli).
Poi, io ho trovato molto bello questo articolo: http://www.lombardiasociale.it/2013/06/24/lapproccio-capacitante-nella-cura-e-nella-relazione-con-anziani-fragili
Salve trovo interessanti i suoi articoli, mi trovo a lavorare in un piccolo Comune ( un mio primo incarico!) da sola con 4 ore a settimana, e mi ritrovo con molti casi da gestire. A parte le difficoltà dovute alla mancanza di fondi comunali, a volte non capisco bene la parte amministrativa dell’ assistente sociale e soprattutto a chi chiedere cosa! Potrebbe darmi una dritta in merito i dei testi che mi permettano di avere un’ adeguata preparazione in merito? Grazie
Ciao Erminia e grazie del riscontro!
Lavorare come assistente sociale in Comune è più complicato di quanto sembri… serve senz’altro una buona conoscenza di base (un manuale di quelli per il superamento dei concorsi negli enti locali ti può aiutare) ma io ti consiglio di non esitare a chiedere alle colleghe degli altri comuni del tuo ambito. Ci sono troppe cose “non scritte” che si imparano facendo… e guardando le più brave!
Poi, se vuoi approfondire ti consiglio di dare un’occhiata al testo che vedi nel sito e a cui ho collaborato (Il servizio sociale in comune – Maggioli editore): va oltre l’abc amministrativo (che comunque va conosciuto) e affronta tanti temi rilevanti.
Infine, permettimi di dire che lavorare solo 4 ore a settimana in un comune è davvero dura… ovviamente non dipende da te, ma io credo che sia praticamente impossibile comprimere tutto in così poche ore. Anche se gli abitanti sono pochi, ci sono talmente tante attività da fare che oltre un minimo di ore non si può scendere. Dobbiamo cominciare a farlo capire agli amministratori…
tieni duro che è un lavoro bellissimo!