Reddito di cittadinanza: due idee per migliorarlo

A diciotto mesi dall’erogazione del primo Reddito di Cittadinanza si sta animando il dibattito sui pro e i contro della misura. Voglio allora mettere sul tavolo il punto di vista di un’assistente sociale comunale impegnata concretamente nella gestione di questa misura, facendomi portavoce delle persone che incontro.

Ci si chiede se questa misura serve, se aiuta chi a bisogno e lo fa nel modo giusto. Nel complesso direi di sì, ma dobbiamo ammettere che ci sono un sacco di cose da migliorare.

Il Reddito di Cittadinanza è arrivato come una manna dal cielo per quella fascia di popolazione single ultra cinquantenne, senza grandi legami sociali, con problemi di salute fisica o psichica, disoccupata o male occupata. Parliamo di persone poco rappresentate nel discorso pubblico che fino al 2017 non potevano contare che sugli aiuti comunali: adesso, finalmente, godono di una tutela adeguata.

Ci sono però altre fasce di popolazione che sono poco supportate da questo beneficio, o addirittura escluse. Lo ha detto molto bene l’Alleanza contro la povertà, che ha già formulato una proposta per rendere il RdC più favorevole alle famiglie con bambini (oggi invece il single prende di più – in proporzione – di una mamma con due figli) e più inclusivo nei confronti delle persone extracomunitarie (oggi vengono chiesti dieci anni – 10! – di residenza).

Tuttavia, non si tratta solo di estendere il beneficio ad altri soggetti ma di renderlo più utile. Per questo, faccio due proposte.

PRIMA PROPOSTA.
Eliminiamo l’obbligo di spendere tutti i soldi entro il mese successivo. Pensate un po’: oggi al povero viene proibito per legge di risparmiare perché, se lascia due lire sul conto, il mese dopo riceverà un beneficio decurtato di quelle due lire (leggi il Decreto). E quindi tutto il lavoro di accompagnamento alla gestione consapevole del denaro che facciamo nei Servizi sociali va a farsi friggere.

Qualcuno dirà: “Ma se riescono a risparmiare, tanto poveri non sono”. E allora vi presento Paolo, 56 anni. Quando sei anni fa l’hanno licenziato ha avuto un infarto, poi è andato in depressione e da allora convive con un equilibrio psicofisico fragilissimo che gli rende pressoché impossibile trovare un’occupazione. Per fortuna, da qualche anno prende 290€ di assegno di invalidità e questo, insieme agli aiuti del Comune, gli ha permesso di tirare avanti. Nel 2018 ha cominciato a prendere il REI e quindi qualche soldo in più gli è entrato; nel 2019 è passato al RdC e di colpo si è aggiudicato 700€ al mese! Oltre all’assegno di invalidità. Dopo l’euforia iniziale abbiamo convenuto che non fosse il caso di buttarli via in videogiochi, per cui abbiamo fatto un prospetto delle spese e definito delle priorità. Ora, il problema è che le spese non sono distribuite in modo omogeneo durante l’anno: c’è il mese in cui paghi il metano o l’assicurazione dell’auto e c’è quello in cui non hai imprevisti e puoi risparmiare. Perché vietarlo?

Vi dirò di più: qualche mese fa è stato ricoverato d’urgenza ed è rimasto tre settimane in ospedale. Ovviamente non ha potuto fare la spesa né pagare le bollette. E il mese dopo s’è trovato la sorpresa di avere il beneficio ridotto a 560€!

SECONDA PROPOSTA.
Rimuoviamo i vincoli all’utilizzo della carta/bancomat e alla possibilità di fare bonifici.
Sempre il nostro Paolo aveva necessità di saldare tramite bonifico un debito che aveva con la banca: non ha potuto farlo. Voleva pagare l’assicurazione dell’auto col bancomat: vietato. Comprarsi un televisore nuovo su internet? Proibito. E infatti un giorno mi ha detto: “Questi soldi non mi sembrano veramente miei…”.

Certamente non sono tutti come Paolo: c’è chi non riesce a risparmiare niente e quando va in tabaccheria non è per pagare la bolletta scaduta. Abbiamo persone e famiglie abituate da anni a barcamenarsi con pochi soldi e incerti; qualcuno ha pure smesso di inseguire le scadenze, tanto i soldi non bastano mai, e non si fa più spaventare dalle cartelle di Equitalia o dai tagli alla luce. Sappiamo che per cambiare stile di vita e habitus mentale non basta un assegno mensile.

Ma allora investiamo sui servizi di accompagnamento. Diamo ai poveri dei servizi in grado di aiutarli a scegliere che cosa vogliono fare con i loro soldi, ad acquisire un pensiero progettuale e strategie di automonitoraggio. Esiste l’educazione finanziaria, adesso anche a distanza. Usiamo strumenti rispettosi dell’intelligenza di chi ci sta di fronte e del suo diritto all’autodeterminazione, più che imporre vincoli per legge. Avendo sempre in mente che l’obiettivo non è solo evitare che i soldi pubblici finiscano in gratta e vinci, ma che un grande investimento come il RdC porti effettivamente benessere a chi lo riceve.

Reddito di cittadinanza? meglio il REI

Da quando lavoro come assistente sociale ho capito la necessità di garantire a tutti i cittadini un’entrata economica, perché non è accettabile che ci siano persone che non possono comprarsi da mangiare o pagare una bolletta. Sono grata ai 5stelle per aver portato questo tema nel dibattito politico, ma… spero ardentemente che il reddito di cittadinanza che propongono non diventi realtà! Perché? Per cinque buoni motivi: Continua a leggere

La cartella sociale: spunti di riflessione

foto convegno.L’altro giorno in Provincia di Bergamo ho avuto la fortuna di partecipare ad una giornata di studio sul tema della cartella sociale: oltre ad essere stata una bella occasione per rivedere tante colleghe, ho potuto ascoltare relazioni molto interessanti.

Voglio parlarvi dell’intervento di Chiara Caprini, assistente sociale responsabile del Continua a leggere

L’assistente sociale comunale: strategie professionali per sostenere un ruolo complesso

image001E’ stato pubblicato su Welfare Oggi* questo mio articolo sulle strategie professionali per sostenere il complesso ruolo dell’assistente sociale comunale.

“La mancanza di adeguati finanziamenti statali alle politiche sociali fa sì che molto spesso le risorse economiche per sostenere i servizi e le prestazioni sociali gravino prevalentemente sui bilanci delle amministrazioni locali. Questa situazione induce molti Comuni a compiere scelte difensive e orienta i politici e il personale amministrativo ad agire per salvaguardare le risorse economiche dell’ente, percepite come sempre insufficienti. Gli assistenti sociali che operano all’interno degli enti locali avvertono queste pressioni, ma sentono anche l’esigenza di mantener fede alla propria etica professionale che li vuole al servizio dei cittadini. Quali strategie professionali mettere in campo per riuscire a stare all’incrocio di questi diversi mandati? Continua a leggere

Per un servizio sociale sovra-comunale

noun_381485_ccSono sempre più convinta che le dimensioni del Comune in cui si lavora influiscano molto sulla qualità del lavoro sociale e che quelli piccoli o medio-piccoli non abbiano la dimensione ottimale per un servizio sociale di qualità. Solitudine professionale, multi utenza, scarso numero di ore, inefficienze organizzative, sconfinamento sul piano amministrativo, stretto rapporto con i politici locali, budget minimi… questi sono alcuni nodi cruciali. Che potrebbero essere affrontati meglio con una gestione quantomeno sovra-comunale. Provo a spiegarmi meglio. Continua a leggere

Come minimo un reddito per tutti

128310-ldCome minimo un reddito per tutti“: questo era il titolo del convegno organizzato e poiché richiamava una bellissima copertina di “Internazionale” mi sono iscritta immediatamente. Anche se sapevo che avrei dovuto portarmi al seguito il mio poppante di un mese e mezzo: ma non si è mai troppo piccoli per le rivoluzioni, giusto?
Perché quella del reddito di inserimento è proprio una rivoluzioneContinua a leggere

Il segretariato sociale

noun_591969_ccAvere le informazioni giuste al momento giusto è una questione così cruciale che il legislatore l’ha addirittura definita un livello essenziale di assistenza! Parlo del segretariato sociale professionale, cioè quell’attività in cui gli assistenti sociali sono a disposizione dei cittadini per dare loro informazioni e orientarli all’interno del nostro (complicatissimo) sistema di welfare. Ma come funziona?  Continua a leggere

Assistenza educativa scolastica: chi, quando, come

noun_175983_ccChi deve attivare l’assistenza educativa scolastica per uno studente con disabilità? Quando può o deve farlo? E come? Le esperienze nei territori sono tante, è possibile ricavarne alcune indicazioni di massima? Credo di sì*.  Continua a leggere

Che cos’è il P.I.P.P.I.?

pippipiccolaProprio come Pippi Calzelunghe, ciascun bambino ha risorse incredibili in grado di trasformare le più strampalate situazioni di vita in possibilità di crescita sufficientemente buona. Su quest’idea si fonda P.I.P.P.I., il Programma di Intervento per la Prevenzione dell’Istituzionalizzazione.
P.I.P.P.I. è un modello di intervento che i servizi sociali, sanitari, educativi e della giustizia rivolgono alle famiglie in difficoltà coi propri bambini. L’obiettivo è sostenerle per evitare che la situazione degeneri e si debba poi allontanare i minori. In che modo*? Continua a leggere

LEA e LivEAS: che cosa sono i livelli essenziali di assistenza

noun_743356_ccNelle ultime settimane si è molto applaudito all’approvazione dei nuovi Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), il cui aggiornamento era atteso da 16 anni. In effetti è stato un bel risultato… Peccato però che si parli solo dell’assistenza sanitaria. I Livelli Essenziali di Assistenza Sociale (LivEAS) non sono mai stati nemmeno definiti, sebbene siano passati anche per noi 16 anni da quando la nostra legge quadro li ha introdotti! Con conseguenze pesanti per tutti. Quali? Continua a leggere