Chi deve attivare l’assistenza educativa scolastica per uno studente con disabilità? Quando può o deve farlo? E come? Le esperienze nei territori sono tante, è possibile ricavarne alcune indicazioni di massima? Credo di sì*.
Per semplicità organizzerò il post in questi paragrafi:
Che cosa
Chi: gli enti competenti
Chi: i destinatari
Come: le modalità
Come: l’iter
Quando: la tempistica
Che cosa
Cominciamo con il dirci che per assistenza educativa scolastica si intende “l’assistenza per l’autonomia e la comunicazione personale degli alunni con handicap fisici o sensoriali” (l. 104/99, art. 13). Da questa è esclusa l’assistenza materiale nella scuola, l’accompagnamento ai servizi igienici e relativa pulizia, che compete ai collaboratori scolastici (l. 124/1999, art. 8 ).
Questa definizione di base è stata via via arricchita nel tempo, andando ben oltre i soli compiti di cura fisica e accompagnamento, e includendo sempre più funzioni di supporto alle autonomie personali e sociali, facilitazione nella relazione con gli insegnanti e con il gruppo classe, sostegno alla socializzazione e comunicazione con i pari, facilitazione nell’espressione dei vissuti e bisogni, supporto emotivo, valorizzazione delle risorse e potenzialità.
Chiariamo, casomai ce ne fosse ancora bisogno, che qua stiamo parlando dell’assistenza educativa scolastica ad personam fornita dagli enti locali e non dell’insegnante di sostegno fornito dal Ministero dell’Istruzione su richiesta dell’Ufficio scolastico (per chiarirti le differenze leggi qui).
Chi: gli enti competenti
L’obbligo a fornire l’assistenza educativa scolastica è attribuito agli enti locali e più specificatamente:
– alle Province in relazione a tutti gli studenti con disabilità sensoriale e agli frequentanti l’istruzione secondaria superiore
– ai Comuni in relazione agli altri gradi inferiori di scuola, dalla scuola dell’infanzia alla scuola secondaria inferiore (eccetto che gli studenti con disabilità sensoriale, cui provvede la Provincia).
Una piccola nota
L’assistenza educativa viene fornita dal Comune indifferentemente dal fatto che lo studente frequenti un istituto pubblico o privato.
Tuttavia, l’esperienza ci porta a sottolineare il fatto che, se l’istituto privato non dispone di risorse sufficienti per fare la sua parte (e quindi offrire un insegnante di sostegno), è evidente che questa mancanza non può essere colmata dall’intervento comunale: l’educatore non è un insegnante.
Se servono entrambe le figure ciascuna istituzione deve provvedere a mettere la propria.
Queste disposizioni sono stabilite dalla copiosa normativa in materia, che potete approfondire sul sito del Ministero dell’Istruzione.
Però, la recente riforma delle Province (c.d. Legge Del Rio) e il risultato del referendum del 4 dicembre 2016 hanno creato una situazione di incertezza negli assetti organizzativi delle Province e nell’attribuzione dei loro ruoli, per cui oggi si possono trovare situazioni diverse.
In ogni caso, gli enti locali progettano e finanziano l’intervento di assistenza educativa scolastica avvalendosi del proprio personale sociale (generalmente un assistente sociale o uno psicopedagogista) ma raramente lo implementano con il proprio personale dipendente. Sempre più spesso sul campo ci sono operatori delle cooperative sociali a cui è stato appaltato il servizio.
Chi: i destinatari
I destinatari del servizio sono i bambini e i ragazzi a cui il servizio pubblico territoriale preposto (in Lombardia si chiama UONPIA – Unità Neuro Psichiatria Infanzia Adolescenza) ha certificato una disabilità tale da necessitare di un intervento educativo scolastico.
Il documento che riporta questa indicazione è la diagnosi funzionale.
Che cos’è la diagnosi funzionale
La diagnosi funzionale descrive la situazione clinico-funzionale del ragazzo al momento dell’accertamento, evidenziando non solo i deficit ma anche le potenzialità sul piano cognitivo, affettivo-relazionale, sensoriale-linguistico, ecc. Include le informazioni essenziali utili per l’integrazione scolastica, per consentire alla scuola e all’ente locale l’attribuzione delle risorse necessarie. Viene aggiornata ad ogni passaggio di grado scolastico e, se necessario, in qualunque momento della carriera scolastica dell’alunno (approfondisci su www.disabili.com).
La diagnosi funzionale un documento dettagliato, redatto dal servizio specialistico che ha in carico il minore e consegnato alla famiglia, che a sua volta lo consegna alla scuola e, in caso di richiesta di assistenza educativa scolastica, all’ente locale, come spiego più avanti.
Come: le modalità
Come per molte altre prestazioni sociali, le leggi che le istituiscono si limitano ad enunciarle a grandi linee, senza entrare nel merito di come devono essere effettivamente erogate. Quindi, poiché non sono stati definiti i livelli essenziali di assistenza, cioè i requisiti minimi che tali prestazioni devono avere, il risultato è che ogni territorio si è organizzato a modo proprio e c’è una grande disomogeneità geografica. Le famiglie ricevono servizi diversi a seconda del Comune di residenza e purtroppo non possono farci molto (vedi il mio ultimo post sull’argomento).
Detto ciò, ci sono molti Comuni che nel tempo si sono organizzati per bene, creando linee guida ed esplicitando nella propria Carta dei Servizi sociali il tipo di servizio offerto. Prendiamo spunto da loro per dirci come ci piacerebbe che venisse erogato questo servizio, senza la pretesa di fornire indicazioni universali, ma giusto per avere una falsa riga di riferimento.
Come: l’iter
Partiamo da quando la famiglia ha in mano la diagnosi funzionale con scritto che il proprio bambino necessita di un assistenza educativa scolastica.
Come prima cosa, si rivolge al Servizio sociale del proprio Comune di residenza per chiedere l’assistenza educativa scolastica.
[Se poi ha in mano anche il verbale di individuazione della condizione di disabilità redatto dal Collegio di accertamento significa che ha diritto anche all’insegnante di sostengo e per averlo deve consegnare questo documento alla segreteria della propria scuola. Ma questo è un altro capitolo… ritorniamo a noi.]
Il Servizio sociale comunale:
- se è previsto un primo accesso gestito dal personale amministrativo, questi accoglie la famiglia invitandola ad un colloquio di segretariato sociale con l’assistente sociale
- nel corso del colloquio di segretariato sociale, l’assistente sociale raccoglie la domanda e spiega i passaggi successivi.
E’ importante curare bene questo passaggio per evitare alla famiglia la sensazione di essere in balia del caso… non è così: l’assistente sociale è un professionista che segue un percorso di presa in carico preciso e ha una metodologia di lavoro chiara (se gliela spieghiamo…) - l’assistente sociale effettua alcuni colloqui successivi per raccogliere l’anamnesi familiare e la documentazione necessaria (in almeno 1 colloquio è utile incontrare entrambi i genitori per capire le posizioni di entrambi e cominciare a conoscere il funzionamento del loro sistema familiare)
- nel corso dell’ultimo colloquio invita a presentare al Comune la richiesta scritta del servizio di assistenza educativa scolastica e la fa protocollare (questo è un passaggio burocratico ma necessario perché lavoriamo in un ente pubblico e non possiamo dare servizi a chi non li chiede formalmente)
- parallelamente, in un’ottica di lavoro di rete l’assistente sociale contatta il servizio sanitario che ha in carico il bambino o il ragazzo per approfondire la situazione e raccogliere ulteriori dati
- conclusa la raccolta dei dati e verificata la presenza dei requisiti, l’assistente sociale presenta il progetto di intervento al proprio responsabile di area attraverso una relazione sociale (vedi il mio post su come scriverla) o altra documentazione professionale interna. Qua deve esplicitare la data di inizio dell’intervento e il numero di ore settimanali necessarie; attenzione a prevedere anche un pacchetto di ore annuali che l’educatore può usare per gli incontri con l’assistente sociale e la famiglia, per quelli di raccordo con gli insegnanti (di sostegno o curricolari) e per quelli con i servizi specialistici
- il responsabile di area verifica sia la congruità della richiesta di intervento rispetto alla documentazione ricevuta che la disponibilità di budget
- nel caso in cui l’intervento proposto sia condiviso e interamente finanziabile, il responsabile di area adotta una determinazione, cioè quell’atto amministrativo necessario per disporre la realizzazione del progetto di intervento.
Nel caso in cui ci siano problemi, siano essi rispetto al progetto di intervento oppure al budget, può discutere con l’assistente sociale della possibilità di modificare il progetto oppure chiedere alla Giunta una variazione di PEG per spostare le risorse da un capitolo di bilancio all’altro (sul ruolo della Giunta e del PEG, leggi il mio post) - adottata la determina, il responsabile dà mandato di attivare il personale educativo comunale o, nel caso più frequente che il servizio sia appaltato a terzi, effettua richiesta scritta alla cooperativa sociale per ottenere le necessarie ore di educatore professionale (qua do per scontato che venga richiesta questa figura, che è la più adeguata al ruolo)
- una volta che il responsabile ha presentato richiesta formale alla cooperativa, è utile che l’assistente sociale si raccordi ulteriormente per descrivere il tipo di intervento da attivare e chiedere l’assegnazione di personale educativo con certe caratteristiche e competenze (perché ogni disabilità è diversa dalle altre e quindi servono operatori ad hoc)
- quando la cooperativa lo ha individuato, l’assistente sociale incontra l’educatore per presentargli la situazione; spesso a questo incontro è presente anche il coordinatore degli educatori della cooperativa, laddove l’appalto ha previsto questa figura intermedia
- l’assistente sociale concorda un incontro con la famiglia e l’educatore per una prima conoscenza reciproca e per la firma di una prima bozza di progetto di intervento. In questa sede si concordano le date per i successivi incontri di verifica
- l’intervento è cominciato. La tentazione è quella di mollare il colpo (adesso che è finalmente partito, possiamo lasciarlo andare)… per fortuna abbiamo già messo in agenda il prossimo incontro così evitiamo di perderci i pezzi (e di perdere un sacco di tempo in telefonate per trovare una data che vada bene a tutti).
Dopo 6-8 settimane di osservazione, possiamo quindi incontrarci nuovamente con la famiglia e l’educatore per scrivere il progetto di intervento definitivo e fissare già gli incontri successivi - entro il 15 dicembre la scuola deve predisporre il Piano Educativo Individualizzato (PEI) in accordo con la famiglia, che lo firma e lo può chiedere in copia. L’educatore lo può firmare “per presa visione” o “per condivisione”, ma la cosa importante è che partecipi al processo di progettazione delle attività da mettere in campo per favorire la piena partecipazione alla vita scolastica dello studente con disabilità, non solo dal punto di vista didattico ma anche da quello dell’integrazione sociale e dell’autonomia individuale.
Per quanto riguarda la scuola, non si intende solo l’insegnante di sostegno ma tutti i docenti, perché “la progettazione degli interventi da adottare riguarda tutti gli insegnanti perché “la progettazione degli interventi da adottare riguarda tutti gli insegnanti” (vedi Linee guida MIUR) - se l’intervento è partito a inizio anno, il momento di verifica intermedio con la famiglia e l’educatore può essere calendarizzato a fine quadrimestre (gennaio – febbraio). In quest’occasione si comincia anche a pensare alla pausa estiva, ragionando con la famiglia su come pensano di organizzarsi e sull’eventuale necessità di un educatore che affianchi loro figlio nelle attività ricreative organizzare dalla comunità e in percorsi di autonomia sul territorio [ma quest’altro intervento vedrà poi una progettazione a parte]
- a giugno ci si incontra per una verifica finale dell’anno: progetto alla mano, ci si confronta sul raggiungimento degli obiettivi prefissati, sui successi e sulle criticità. Da questi si ripartirà per riprogettare l’intervento del prossimo anno scolastico
Oltre a queste tappe più strutturate, l’assistente sociale è disponibile a raccordarsi con l’educatore, la famiglia e la scuola ogni qualvolta sorgessero questioni nuove da affrontare.
Quando: la tempistica
Ma noi sappiamo quantificare il tempo che ci occorre per progettare un buon intervento di assistenza educativa scolastica? Questo dato ci serve sia per organizzarci l’agenda, che per informare la famiglia e per darne conto all’organizzazione per cui lavoriamo. E’ sempre utile “rendere visibile” il lavoro che facciamo, perché non sempre i nostri responsabili e gli amministratori politici hanno idea della quantità di tempo e di energie che servono per fare le cose per bene.
Ora, è impossibile incasellare tutto ma, se ipotizziamo che la famiglia venga al Servizio sociale a giugno, la tempistica può essere questa (scarica: Timing AES):
La durata degli interventi è qui riferita a tempo necessario per il loro svolgimento: restano escluse tutte le ore del cosiddetto backoffice (le telefonate, il tempo per scrivere, per pensare…). Questo dipende molto dal tipo di intervento, dai tempi degli operatori, dalla difficoltà dell’intervento, ecc. Quindi può essere quantificato solo ex post.
Che cosa ne dite?
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* Quello che ho scritto è frutto dei miei studi e della mia esperienza. Utilizzalo pure ma fallo in modo critico, secondo “scienza e coscienza”, perché l’unico responsabile delle tue azioni… sei tu!
Se poi decidi di condividerlo con terzi, per esempio a scopo didattico, non c’è problema ma cita la fonte. Grazie 🙂
Descrizione dell’iter chiara e molto utile. Chiedevo se può chiarirmi se esista un criterio prioritario per l’assegnazione del servizio laddove l’esiguità della risorsa monte ore fa sì che si opti per l’assegnazione esclusiva ad un alunno di scuola primaria (obbligo scolastico) con diagnosi di gravità inferiore rispetto ed a danno di alunno con diagnosi di condizione di gravità, ma frequentante la scuola dell’infanzia, quindi non in obbligo scolastico. Per maggior precisione si fa presente che il secondo, con diagnosi di gravità, art.3 c.3 l.104, ha rinunciato al servizio il primo anno di scuola dell’infanzia su suggerimento dell’insegnante di sostegno, in favore del primo, con art.3c1; salvo poi presentarne nuovamente richiesta con diagnosi funzionale aggiornata e motivante la necessità dell’assistenza educazionale. Il servizio sociale del comune risponde di non avere risorse. Ha priorità il grado di scuola o la gravità della condizione? È possibile distribuire equamente le ore tra gli aventi diritto richiedenti il servizio?
La ringrazio anticipatamente.
Laddove vi sia l’indicazione sulla diagnosi funzionale, l’assistenza educativa scolastica deve essere erogata sempre e il Comune deve reperire le necessarie risorse poichè “le posizioni delle persone disabili devono prevalere sulle esigenze di natura finanziaria” (vedi http://scuola24.ilsole24ore.com/art/scuola/2019-02-20/per-alunni-disabili-scuole-hanno-l-obbligo-adottare-effettivi-piani-educativi-individuali-171253.php?uuid=AB3mGUWB).
Ricordiamoci poi che l’art. 12 della legge 104/1992 garantisce il diritto all’educazione e all’istruzione della persona “handicappata” (una volta si diceva così) nelle sezioni
di scuola materna, nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie.
Post molto dettagliato ed ideale. Purtroppo la realtà che mi ritrovo attorno è un po’ diversa. Gli educatori sono inviati dalla cooperativa alla scuola (superiore di II grado) senza un incontro conoscitivo previo e i compiti per loro non sono per niente chiari. Ben due volte mi è capitato come insegnante di sostegno di trovare dei colleghi educatori sprecati, perché vengono inviati in classe nelle ore che non servono, mentre il loro compito sarebbe utilissimo nell’orario extrascolastico per seguire i ragazzi nelle loro scarse relazioni sociali e/o nello svolgimento dei compiti pomeridiani. Come si può richiedere questo servizio di assistenza domiciliare? perché i genitori mi dicono di averlo chiesto e di aver ricevuto questo…
La diagnosi funzionale è il documento che ci orienta: lì la Neuropsichiatria infantile indica se serve un’assistenza per l’autonomia e la comunicazione, e se serve a casa e/o a scuola.
Se l’indicazione è solo “a scuola”, a scuola deve essere. Certo, cercando di collocare le ore dell’educatore quando la sua presenza è più necessaria. Però questo non è sempre possibile perché gli educatori incaricati delle assistenze scolastiche spesso sono dipendenti di cooperativa e vengono pagati ad ora, per cui è chiaro che desiderano avere un quadro orario il più pieno possibile. E la cooperativa, se non vuole perdere i suoi operatori più bravi, deve cercare di tener conto delle loro esigenze.
E’ una “guerra tra poveri” che potrà essere mitigata solo da investimenti più seri sul welfare e da un trattamento più dignitoso per chi ci lavora e si sforza di produrre benessere, ad esempio in favore degli studenti con disabilità.
Detto ciò, occorre anche dire che il Servizio sociale può progettare anche interventi che vanno oltre le indicazioni della Neuropsichiatria (ovviamente in direzione migliorativa). Se ci sono risorse, può essere progettato un intervento educativo pomeridiano finalizzato ad esempio a favorire l’integrazione sociale del ragazzo. Lo svolgimento dei compiti in sè non è un’attività educativa, ma lo può diventare se viene utilizzata come il mezzo per raggiungere obiettivi di autonomia e integrazione.
Articolo chiaro ,ma vorrei sapere se ci sono dei tempi minimi per erogare il servizio . Noi abbiamo presentato la domanda di rinnovo del servizio a luglio e ora gennaio non abbiamo ancora l’educatore scolastico per mio figlio. Grazie saluti
I tempi sono quelli del procedimento amministrativo, quindi al massimo 90 giorni (o meno, se diversamente indicato).
Entro quella data la pubblica amministrazione deve fornire una risposta scritta alla richiesta presentata dal cittadino.
Buongiorno,
l’articolo è molto utile e dettagliato ma non spiega chi deve pagare per l’assistenza scolastica nel caso in cui lo studente/la studentessa si trasferisca all’interno della propria regione/provincia autonoma o addirittura si trasferisca al di fuori di essa. Potrebbe darmi qualche riferimento normativo?
Dipende dalla regione e dal grado di scuola frequentato.
In Lombardia paga il Comune di residenza del minore fino alla terza media, perché l’assistenza scolastica agli alunni con disabilità rientra nella materia del diritto di studio (D.lgs 297/94 testo unico dell’istruzione, art. 327) e la competenza del Comune è attribuita in funzione della residenza dell’alunno (D.lgs. 267/2000 testo unico enti locali)
Dalla prima superiore paga la Regione Lombardia e il Comune di Residenza ha solo l’onere di gestire il servizio.