Proprio come Pippi Calzelunghe, ciascun bambino ha risorse incredibili in grado di trasformare le più strampalate situazioni di vita in possibilità di crescita sufficientemente buona. Su quest’idea si fonda P.I.P.P.I., il Programma di Intervento per la Prevenzione dell’Istituzionalizzazione.
P.I.P.P.I. è un modello di intervento che i servizi sociali, sanitari, educativi e della giustizia rivolgono alle famiglie in difficoltà coi propri bambini. L’obiettivo è sostenerle per evitare che la situazione degeneri e si debba poi allontanare i minori. In che modo*?
Gli attori. Il programma è promosso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che ha funzioni di governance. Il gruppo scientifico che monitora il processo di implementazione è dell’Università degli Studi di Padova. Sono poi coinvolte le Regioni, gli Ambiti territoriali e le singole equipe impegnate nel lavoro con le famiglie.
Il target. Il programma è rivolto alle famiglie negligenti, in cui cioè c’è “una carenza significativa o un’assenza di risposte ai bisogni di un bambini, bisogni riconosciuti come fondamentali sulla base delle conoscenze scientifiche attuali e/o dei valori sociali adottati dalla collettività di cui il bambino fa parte”. La negligenza ha contorni indefiniti, sta in mezzo fra la “normalità” e la “patologia”.
Obiettivo. Lavorare sulla negligenza significa aumentare la sicurezza dei bambini e migliorare la qualità del loro sviluppo, per prevenire forme più gravi di maltrattamento e gli eventuali allontanamenti dei bambini dalle famiglie. Significa lavorare a metà strada tra il sostegno alla genitorialità e la tutela dei minori.
L’equipe. Gli operatori incaricati di realizzare l’intervento sono l’assistente sociale del Comune, lo psicologo dell’Asl, l’educatore domiciliare, la famiglia d’appoggio, l’insegnante e qualsiasi altro professionista significativo (es. neuropsichiatra). Essi lavorano in equipe.
Infatti, il programma prevede ed esige dalle professioni e dalle organizzazioni di assumere la sfida di lavorare insieme per costruire un approccio olistico alla negligenza. L’assunto di partenza è che per riuscire a riannodare i legami tra genitori e figli (superando la condizione di negligenza) occorre che anche i professionisti lavorino tra di loro e con le famiglie in un’ottica di dialogo, e anche le rispettive organizzazioni di appartenenza si mettano in rete in modo cooperativo.
P.I.P.P.I. ritiene che la complessità dell’implementazione e il suo successo complessivo non risiedono unicamente nelle caratteristiche delle famiglie, ma anche nella configurazione delle pratiche che sono modellate sugli assetti organizzativi attuali dei servizi per i bambini e le famiglie in un dato contesto e che quindi gli esiti non dipendono solo dalla natura e dalla gravità del problema che la famiglia porta ai servizi, ma dalla qualità dei processi messi in atto dai diversi livelli dell’ecosistema e primo fra tutti dalla capacità di utilizzare una accurata metodologia di progettazione a tutti i livelli dell’ecosistema.
I dispositivi d’azione. Le forme di sostegno messe in campo sono quattro: l’educativa domiciliare, il sostegno individuale e di gruppo per i genitori e i bambini, le attività di raccordo tra scuola e servizi, la famiglia di appoggio.
Questi quattro dispositivi si incardinano su un quinto dispositivo che li connette e ne consente l’efficacia e la misurabilità, ossia il dispositivo della valutazione partecipativa e trasformativa dei bisogni di ogni famiglia. Questo significa che tutti i soggetti coinvolti avviano un processo di riflessione, esplicitazione e attribuzione condivisa di significato alle osservazioni e ai comportamenti rispetto ai quali si decide di porre attenzione.
Il quadro teorico di riferimento. Il programma si inserisce all’interno di un preciso quadro teorico di riferimento: il modello dell’ecologia dello sviluppo umano di Bronfenbrenner, da cui deriva “Il mondo del bambino“.
I risultati. Il programma ha richiesto agli operatori coinvolti una puntuale raccolta dati, oltre che la partecipazione a focus group.
I dati raccolti riportano un miglioramento statisticamente significativo per le famiglie in tutte le dimensioni considerate. Gli operatori registrano una diminuzione dei fattori di rischio a fronte di un miglioramento dei fattori di protezione delle famiglie target.
Sono stati registrati dei miglioramenti anche nella promozione di un clima di collaborazione tra tutti i professionisti coinvolti e nella conduzione di un lavoro multiprofessionale. Anche le famiglie sono risultate essere maggiormente coinvolte.
Questi, in sintesi, i contorni del progetto.
Che a me muovono alcune riflessioni.
Innanzitutto il fatto che, nel lavoro sociale, per poter orientare il proprio intervento in modo efficace è importante disporre di un solido bagaglio teorico e di insieme ragionato di prassi. Altrimenti è tutto un navigare a vista. Il rapporto sottolinea che molti territori si stanno organizzando per continuare a lavorare in questo modo anche al di là di questo specifico programma, a dimostrazione del fatto che c’è il desiderio di migliorarsi in questa direzione.
In secondo luogo che è fondamentale che gli interventi locali siano inseriti in una prospettiva più ampia, perlomeno regionale, così da avere un avallo anche del piano politico.
E che, da un punto di vista gestionale, siano coordinati a livello di Ambito territoriale. L’Italia dei piccoli comuni non può continuare a farsi le cose “in casa”! Anche se sono rimasta colpita dal fatto che ne il rapporto abbia rilevato che buona parte degli Ambiti che hanno aderito al progetto presentava “una situazione organizzativa interna di evidente debolezza gestionale”… quindi non siamo messi bene nemmeno a livello di ambito! 😦
La terza riflessione riguarda la necessità di legare gli interventi di sostegno alla genitorialità agli interventi di sostegno alle altre dimensioni di vita delle famiglie se è vero che la vulnerabilità delle famiglie è spesso legata alla condizione economico/lavorativa (70%), all’abitazione (40%) e alla povertà (30%).
In ogni caso, mi sembra che queste collaborazioni tra mondo della ricerca, Ministero e territori siano davvero interessanti…
Forse si può pensare a qualcosa di analogo anche per le misure di contrasto alla povertà?
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* I contenuti che seguono sono una mia schematizzazione della sintesi del Rapporto di valutazione 2014-2015* e dei contenuti del sito. Non sono quindi miei originali. Tuttavia, mi assumo ogni responsabilità nel caso abbia involontariamente travisato il senso di quanto ho letto.
Concordo soprattutto sulla terza riflessione che prevede necessariamente un coinvolgimento anche dei servizi lavoro e dell’abitazione che, in lombardia, sono ancora “dormienti”.
Tuttavia apprezzo, finalmente, un ritorno ad una modalità di lavoro che tiene la tutela minori più strettamente connessa al sostegno alla genitorialità.
E’ vero. E tra l’altro è possibile costruire politiche sociali che integrino i diversi settori, basta avercelo in mente. Io trovo sempre illuminante l’esempio di una regione a noi così vicina, l’Emilia Romagna (un esempio? http://sociale.regione.emilia-romagna.it/copy_of_post-it/infanzia-casa-poverta-le-3-priorita). E non smetto di sperare che questa vicinanza un domani non sarà più solo territoriale!
come attivare il programma ? esistre una procedura d’iscrizione ?
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali periodicamente propone alle Regioni di stipulare dei protocolli di intesa entro cui attivarsi per la realizzazione e il consolidamento del modello P.I.P.P.I.
Le Regioni approvano il protocollo di intesa e stipulano una convenzione con l’Università di Padova, chiedendo poi ai propri ambiti territoriali se sono interessati a entrare nel progetto.
A me risulta che siamo arrivati al PIPPI 7, ma se si rivolge direttamente all’Università di Padova le danno sicuramente maggiori informazioni (pippi.fisppa@unipd.it)