Non ce la faccio. Ci ho provato ma non riesco a smettere di indignarmi di fronte a questo welfare frammentato, disorganico, complicato. Un welfare che offre anche servizi e sostegno, ma fa di tutto per non farsi trovare e non farsi capire. Con il risultato paradossale che lascia ai cittadini, anche se fragili e poco attrezzati, l’onere di ricomporre il puzzle dell’assistenza.
L’avevo già scritto due anni fa a proposito delle misure di contrasto alla povertà, ma la situazione vale per tutte le aree.
Prendiamo un’altra categoria di destinatari: i genitori di bambini appena nati. Ad oggi possono contare su diverse misure nazionali a cui se ne possono aggiungere altre a seconda della regione di residenza. Ciascuna misura è a se stante e non dialoga con le altre. In un’epoca in cui anche il nostro cellulare riesce a dialogare col forno di casa sembra impossibile, ma è così.
E qual è il risultato?
L’iniquità. Non essendo misure organiche, alcuni bisogni sono eccessivamente coperti mentre altri non lo sono affatto. Facciamo un’ipotesi: se quando mio figlio ha 4 mesi io torno a lavorare e lui va al nido comunale posso chiedere il voucher dell’INPS, pagare una tariffa agevolata in base all’ISEE ed essere rimborsata dalla misura “nidi gratis” della Regione Lombardia.
Un unico obiettivo (facilitare il rientro al lavoro della madre) ma tre enti (INPS, Comune e Regione) e tre risposte sovrapposte. All’estremo opposto c’è il fatto che se avevo un contratto di lavoro precario, mi hanno lasciata a casa quando hanno saputo che ero incinta e il mio comune non ha un nido, non posso avere niente di tutto ciò.
La territorialità. Infatti, ciò che mi offre il mio comune può essere molto diverso da quello che offre il comune limitrofo. Anche se è della stessa Regione e dello stesso ambito territoriale. Perché il legislatore nazionale si è dimenticato di definire i Livelli Essenziali di Assistenza, per cui ognuno fa un po’ come gli pare.
E quindi se ho la fortuna di avere un nido comunale posso pagare in base al mio ISEE ma se invece non ce l’ho è un problema mio; e se mi danno un contributo per pagare la badante riesco a farcela ma se invece non ce l’ho… Insomma, tanti campanili, tanti sistemi di welfare.
La categorizzazione. Ogni misura del welfare italiano si rivolge ad una specifica categoria di cittadini: a quelli e solo a quelli! Che sono ovviamente diversi, in tutto o in parte, dai cittadini destinatari delle altre misure. Restiamo sull’esempio dei genitori di bambini piccoli: la condizione di occupato o disoccupato, il numero di anni di residenza in un territorio, il tipo di documento di soggiorno, il numero di figli minori, l’anno di nascita dei figli, l’indicatore ISEE, ecc. A seconda dei requisiti posseduti e della loro combinazione si aprono mondi completamente diversi.
L’estemporaneità. Non si sa mai bene quali sono le misure attive in un dato momento. Ci sono misure che non fanno in tempo a nascere che sono già concluse. E quindi o il cittadino ci incappa fortuitamente o è impossibile che se ne sia informato. Oppure misure che sembrano essere state messe finalmente a sistema, ma invece spariscono improvvisamente e senza notizia. Potete immaginare con quali conseguenze in termini di fiducia dei cittadini.
La fatica. Per riuscire a cogliere i frutti di questo welfare parcellizzato, territoriale ed estemporaneo, il cittadino deve fare un’enorme fatica. Deve essere informato e competente. Deve preparare i documenti giusti, andare nei luoghi e negli orari indicati, comunicare chiaramente con chi si trova di fronte e sopportare con pazienza eventuali disguidi. Se vuole ricevere assistenza, deve farlo nei modi e nei tempi prestabiliti.
Per concludere. E’ evidente che questo sistema è paradossale e inefficace. Per noi assistenti sociali che ci occupiamo di segretariato sociale è un’impresa titanica sia restare aggiornati che riuscire a informare e orientare bene i cittadini. Sempre più spesso ci troviamo a dover verificare requisiti invece che a costruire percorsi di aiuto, cercando di far combaciare le caratteristiche delle persone con i requisiti chiesti dal sistema. Tutto il contrario rispetto ad un welfare al servizio delle persone.
Per questo il mio desiderio è che dall’alto si provveda a razionalizzare le misure, lasciandone pochissime e rendendole progressive, oltre che ugualmente garantite su tutto il territorio nazionale. Per intenderci: se l’obiettivo è sostenere la natalità e il carico di cura legato ai figli, che si stabilisca quanti servizi per abitante e che si definisca per tutti un’unica misura economica, crescente al crescere dei bisogni. Bene quindi il Ministro che vuole riordinare le leggi in materia, sperando che arrivi ad un risultato concreto.
Ma nell’immediato, siccome devo sopravvivere oltre che indignarmi, mi sono dotata di alcune strategie:
informarmi (sono iscritta a un’infinità di mailing list e pubblico il frutto delle mie fatiche su facebook)
- preparare del materiale informativo che aiuti il cittadino (e me!) ad avere chiaro a quali servizi e a quali misure può accedere
- non difendere l’indifendibile: sono in un ufficio pubblico ma non ho scritto io le leggi, per cui posso permettermi di prendere le distanze da alcuni contenuti che anche a me sembrano assurdi
- non colludere con la rabbia: d’altra parte non penso che aiuterei il cittadino se soffiassi sul fuoco del suo risentimento, per cui evito di far degenerare alcune osservazioni in sfoghi da bar contro l’Italia e chi la governa
- portare le mie riflessioni sui tavoli decisionali: come assistente sociale a contatto con l’utenza ho una visione diretta di come il welfare impatta sulla vita delle persone. Per questo cerco di portare questi elementi all’attenzione dei politici locali e sui tavoli di programmazione, così che ciò che è modificabile si possa modificare in direzione dei bisogni reali dei cittadini.
Perché la speranza è l’ultima a morire!
Ottime riflessioni che sembrano semplici ma non lo sono affatto… dobbiamo lavorare tutti per il finale sperando …. e non si spera senza indignazione e senza azione!
…all’epoca del tuo post non era ancora uscita la SIA!!! altra misura frazionata con un’immensità di lavoro alle spalle degli operatori sociali.. e tutto perché questi desiderati livelli essenziali di assistenza non si vedono ancora!!. Mi piacciono le tue strategie, ci vorrebbe tempo e testa per metterle a frutto in tutte le nostre aree di lavoro.. speriamo nel futuro.
E mandare un messaggio anche al nostro Ordine Professionale? 😉 ciao
sul SIA io continuo ad avere una certa dose di ottimismo. Stiamo a vedere in pratica, ma devo dire che mi sembra interessante che il PON inclusione affermi di volere contribuire al processo per definire i livelli minimi di alcune prestazioni sociali (http://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/europa-e-fondi-europei/focus-on/pon-Inclusione/Pagine/default.aspx).
Teniamo alta la guardia, ma potrebbe essere la volta buona.
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