Si sa, la scuola è un canale privilegiato per rilevare il disagio dei bambini e dei ragazzi. Ma quand’è che il disagio è tale da dover essere comunicato al servizio sociale? E come parlarne? Esistono buone prassi di comunicazione? E quando invece c’è l’obbligo di rivolgersi all’autorità giudiziaria?
L’ultima domanda è forse la più semplice: come per l’assistente sociale, anche l’insegnante è un pubblico ufficiale e quindi ha l’obbligo di denuncia per tutti quei reati perseguibili d’ufficio (quali sono? leggi il mio post Quando e come segnalare alla Procura minorile. Qui invece le indicazioni sulle responsabilità del dirigente scolastico).
Ma ci sono un’infinità di situazioni più o meno grigie che creano molte più indecisioni e timori: trascuratezza nell’igiene e nell’abbigliamento (o, al contrario, eccesso di cure), difficoltà relazionali coi compagni, atteggiamenti inadeguati con gli adulti, insofferenza alle regole e ai contesti strutturati… Sono tutti elementi che singolarmente dicono poco ma che, contestualizzati rispetto a ciascuna situazione, possono diventare dei campanelli d’allarme da ascoltare.
Che cosa osservare e come farlo? Ci sono fior di testi in proposito. Ad esempio “Abuso sui bambini: l’intervento a scuola. Linee-guida ed indicazioni operative ad uso di insegnanti, dirigenti scolastici e professionisti dell’infanzia” (a cura di Francesco Montecchi, Franco Angeli, 2002). Sul web, interessanti le indicazioni del Pubblico Tutore della Regione Veneto.
Ma il problema non è solo osservare il disagio, bensì decidere che cosa fare. Spesso gli insegnanti si accorgono che “c’è qualcosa che non va” ma non sanno bene come muoversi. Sono segnali di un disagio familiare? e di che tipo? che cosa si può fare per aiutare quel bambino o ragazzo? e per sostenere la sua famiglia? la situazione è tale da richiedere l’intervento del servizio sociale? ma non è che poi “glielo portano via”?
I quesiti sono tanti e spesso portano ad una paralisi dell’azione. Se non c’è una conoscenza delle funzioni del servizio sociale e delle sue modalità di intervento, prevale la diffidenza e il pregiudizio.
E’ bene che la scuola sappia che il temutissimo allontanamento del minore non è una soluzione desiderata nemmeno dall’assistente sociale. E’ l’ultima spiaggia, a cui si ricorre dopo che sono stati messi in campo tutti i possibili interventi di sostegno alla famiglia. Il servizio sociale ha ben in mente che il collocamento fuori famiglia è una misura drammatica per il minore e la sua famiglia; per questo, lo sceglie solo quando l’alternativa è ancora peggiore, cioè il bambino o il ragazzo vive una situazione di grave pregiudizio e non può essere aiutato in altro modo.
E come? Tra gli interventi che il servizio sociale può mettere in campo c’è la consulenza psico-sociale, l’intervento educativo al domicilio o a scuola, l’inserimento in contesti di supporto all’apprendimento (spazio compiti, servizi specializzati), l’inserimento in contesti aggregativi territoriali, la collaborazione con servizi di presa in carico specialistica (neuro psichiatria infantile), ecc.
Tutti questi interventi rappresentano possibili aiuti alla situazione familiare e possono portare ad un effettivo miglioramento delle condizioni di vita del bambino e delle competenze genitoriali di mamma e papà.
Ma la conoscenza teorica non è sufficiente: perché si instauri un rapporto di fiducia occorre che ci sia una vera conoscenza reciproca. E’ quindi importante che ci sia uno stretto rapporto tra scuola e servizio sociale, che queste due istituzioni individuino momenti specifici di incontro e scambio e ragionino sulle prassi da utilizzare per confrontarsi sulle situazioni e trasmettersi informazioni.
Gli incontri possono avvenire “al bisogno” (con tutte le difficoltà legate all’incrocio delle rispettive disponibilità di agenda) oppure possono essere calendarizzati a inizio anno, con l’idea che comunque se ci si da uno spazio si permette ai pensieri di emergere e prendere forma.
In ogni caso, bisogna aver chiaro che se durante l’incontro gli insegnanti chiedono una consulenza all’assistente sociale per ragionare insieme sul significato dei segnali di disagio rilevati, non devono però rivelare il nome del minore per non lederne la privacy (vedi l’approfondimento del Pubblico Tutore dei Minori del Veneto). Altro caso è quando i minori siano già in carico al servizio sociale e questo abbia ottenuto il consenso scritto dei genitori ad interagire con e altre istituzioni territoriali per tutte le funzioni connesse alla presa in carico (vedi il post Riservatezza, privacy e trasparenza).
Se dal confronto tra insegnanti e assistente sociale si evince la necessità di un intervento di supporto al nucleo familiare da parte del servizio sociale, gli insegnanti dovranno parlare con i genitori dell’alunno per condividere le loro preoccupazioni e spiegare loro che possono trovare aiuto al servizio sociale.
Se i genitori, ripetutamente sollecitati, non si attivano, è bene che sia la scuola a muoversi nei confronti del servizio sociale facendo una segnalazione per iscritto.
La segnalazione scritta viene fatta anche quando le preoccupazioni della scuola sono tali da ritenere quella situazione particolarmente pregiudizievole e quindi gli insegnanti ritengono opportuno muoversi subito senza il consenso dei genitori, ad esempio, quando ipotizzano che il loro coinvolgimento potrebbe aggravare la situazione del bambino (ovviamente non stiamo parlando delle notizie di reato, per le quali vi è l’obbligo di denuncia, come detto all’inizio).
E’ bene aver tutti in mente che la segnalazione al servizio sociale non è una punizione per il genitore o uno stigma per la famiglia, ma un modo per aiutare il bambino e la sua famiglia a stare meglio.
Per agevolare le relazioni tra queste due importanti istituzioni alcune realtà territoriali hanno proposto del materiale informativo, come le ottime “Linee guida per i rapporti tra le istituzioni scolastiche, i servizi territoriali e gli organi che tutelano l’infanzia” pubblicate dalla Provincia di Ferrara.